Con “Bianco è il colore del danno”, edito da Einaudi, Francesca Mannocchi ha sfidato molti tabù. Giornalista e inviata di guerra molto apprezzata per il suo modo di vedere e di raccontare scenari complessi, la Mannocchi si mette davanti allo specchio della scrittura e parla della sua malattia con parole essenziali e crude, scendendo ben oltre ciò che il coraggio consente.

DIARIO DI UN DANNO

Un risveglio come tanti che porta già il marchio di una malattia che fa paura: una mattina qualunque, la scrittrice realizza di essere per metà paralizzata.

Dai primi sintomi conclamati, al viaggio tortuoso verso la scoperta di una nuova sé, alla consapevolezza che non si può tornare indietro. Con fatica e senza mai rassegnazione, la Mannocchi deve ripensarsi, proiettarsi in una vita che potrebbe essere diversa da prima o da come l’aveva immaginata.

Con l’incertezza di ciò che le sta accadendo, la scrittrice ripercorre momenti, ricordi, pensieri: un esame lucido della fragilità di ognuno, della paura malcelata dietro alla rassicurazione, dell’abisso di una malattia degenerativa.

SENZA FILTRI

Un libro duro, un diario senza filtri in cui la malattia dà all’autrice la sfrontatezza di affrontare ogni non detto, tutte le sensazioni più sconvenienti, i rapporti più ambivalenti, primo tra tutti quello con la maternità.

Tutto parte dal tradimento di un corpo che non è più alleato, ma involucro malato di un’anima che si espande attraverso le parole. Non c’è lieto fine, in questa storia, nessuna cura miracolosa che possa cambiare il corso degli eventi, né cancellare l’incertezza di ogni singolo giorno. Eppure, c’è il senso del futuro, la forza ancestrale della vita che supera la contingenza.

 

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